Avrebbe voluto farle una sorpresa. Non gliene aveva mai fatte, forse anche per questo era andata così. E adesso era lì su quella panchina di piazza Garibaldi, il sole stava scomparendo dietro le montagne, il vento scuoteva gli alberi, una nevicata di foglie secche ingialliva l’asfalto, e la sua mente andava indietro nel tempo, a quel pomeriggio di sei anni prima in cui tutto era iniziato, proprio in quel posto. Quant’era bella. Una lacrima gli solcò il viso e andò ad inumidirgli la barba che cominciava ad imbiancarsi così precocemente. Non riusciva ancora a rendersi conto di quanto fosse successo. Allora volse lo sguardo alla busta adagiata accanto a lui, quella della sua enoteca preferita, ne estrasse la bottiglia e la guardò. Prima di incontrarla non gli piaceva quel vino, ma lei adorava le bollicine, così i primi tempi glielo faceva trovare spesso a tavola, soprattutto nelle occasioni speciali. E lui aveva finito per apprezzarne il profumo inebriante, come di crosta di pane, perché amava gli occhi di lei al primo sorso e la sua voce dopo il secondo bicchiere, quando iniziava a ridere di cuore e rimanevano lì a guardarsi a lungo. Quando non c’era nient’altro al mondo, solo loro due.
Ma non succedeva ormai da molto tempo, non sarebbe successo neanche quella sera, né mai più. L’aveva trovata con un altro davanti al portone di casa. Già. Si sarebbe immaginato una fine meno banale per loro due, ma era andata proprio così e non riusciva a togliersi dalla mente quell’immagine, lei che baciava con trasporto uno sconosciuto. Guardò ancora le montagne. Il sole era scomparso del tutto. Un’altra foglia cadde vicino ai suoi piedi.
Si accorse dell’uomo soltanto quando gli rivolse la parola.
«Vuole favorire?»
Lo vide, seduto accanto a lui. Era molto anziano, la camicia strappata sulla manica sinistra, il colletto consumato, i pantaloni sporchi e rattoppati alla meglio sulle ginocchia. Gli occhi tristi, ma gentili, di un colore chiaro e indefinito, lo scrutavano con aria interrogativa. Gli offriva la sua cena, probabilmente acquistata con gli ultimi risparmi: era in un cartoccio bisunto, patatine fritte e ali di pollo.
Non rispose. Tornò a guardare davanti a sé, indeciso se alzarsi e andarsene, con una voglia di piangere che mai aveva provato prima. Poi pensò alla sua casa vuota, alle riviste di gossip che lei amava disseminare sul tavolino del soggiorno, al divano su cui tante sere aveva atteso invano il suo arrivo o una sua chiamata. Fu allora che guardò la bottiglia che teneva tra le mani, quasi meccanicamente l’aprì, facendo saltare il tappo e si rivolse all’uomo.
«È ancora valida l’offerta?» domandò.
«Certo» rispose il vecchio con la sua voce rauca.
Mise in bocca due patatine, portò la bottiglia alle labbra e ingollò una sorsata. Stette qualche secondo così, con gli occhi chiusi. Gli sembrò di non aver mai mangiato nulla di più gustoso né bevuto un vino dal sapore più intenso. Guardò il vecchio, gli sorrise e finalmente vide tutto in maniera nitidissima. L’avrebbe dimenticata, non poteva che essere così. Addentò un’altra patatina e bevve un altro sorso di vino. Poi porse la bottiglia al vecchio.
«Beva, beva» disse. «Lo sa? Le bollicine sono ottime col fritto.»
Proprio così. Glielo aveva insegnato lei. E questo, ne era sicuro, non lo avrebbe mai dimenticato.
Con questo racconto ho partecipato al “Premio Eno-Letterario Santa Margherita” 2011, il cui spirito è quello di invitare a scrivere testi molto brevi nei quali l’abbinamento vino-cibo sia in qualche modo protagonista. (http://premioletterario.santamargherita.it)
Quanta malinconia…
Trovo suggestivo l’incontro con il senzatetto, che sembra essere metafora del dolore che prova quest’uomo, ma anche la soluzione al suo stato sentimentale, quella di andare avanti, pur portando con se almeno un ricordo piacevole.
Anche questa volta, secondo me, hai trasmesso quello che volevi, complimenti!
Grazie mille, Giorgia! Sono contento di avere qualche riscontro positivo! Sono piccoli esperimenti di scrittura creativa, una sorta di palestra! 🙂