Libertà di stampa ieri e oggi

Quando nella primavera del 1814, dopo gli eventi della Rivoluzione francese e dell’Impero napoleonico tornarono sul trono di Francia i Borbone, il nuovo sovrano, Luigi XVIII, non ebbe alcun dubbio: i Francesi avevano bisogno della libertà di stampa, la reclamavano a gran voce dopo i dodici anni di censura bonapartista, durante i quali, a detta di molti, si erano potuti stampare soltanto i bigliettini da visita. Grande fu dunque il plauso che da più parti arrivò al sovrano quando fece inserire nella nuova costituzione un bell’articolo, l’ottavo: i Francesi hanno il diritto di far stampare le proprie opinioni, conformandosi alle leggi che devono reprimere gli abusi di questa libertà.
Ancor più grande però fu lo stupore, quando un mese dopo la promulgazione della Carta costituzionale, il governo propose al Parlamento una legge che poneva sotto censura i giornali, i periodici e tutti gli scritti d’occasione al di sotto delle 300 (!!!) pagine (confidando nel fatto che i libri troppo voluminosi li leggessero in ben pochi).
Com’è possibile, si chiedevano i liberali, che si tradisca in questo modo la costituzione appena nata? Com’è possibile privare i Francesi di questo sacro diritto?
Rispondevano i reazionari: si tratta di una misura provvisoria, il popolo non è pronto a godere di questa libertà! E non si può far cadere il Paese nel disordine e permettere che accada un’altra Rivoluzione!
Fu così che scoppiò la violenta polemica tra quanti volevano una completa libertà di stampa, sicuri dell’esistenza di diritti inviolabili (la libertà di stampa in primis), che lo Stato non può conculcare, e coloro che invece volevano la censura, col pretesto di assicurare la tranquillità pubblica e mettere a riparo i singoli individui da possibili calunnie e diffamazioni.
Lascio a chi legge ogni possibile parallelismo con la nostra situazione attuale e ogni riflessione sul ruolo che la rete ha oggi nell’informazione e dunque nelle dinamiche politiche e sociali. In qualche modo, però, mi sembra che le motivazioni che spingono i governi a stabilire la censura, ieri sui pamphlets e le brochures di poche pagine, oggi sugli articoli e i post di poche righe pubblicati dai bloggers, siano costanti nel tempo.
Proprio per questo, allora, possono forse venirci in soccorso i liberali francesi di inizio Ottocento. Essi ci ricordano che dobbiamo continuare a difendere questo diritto fondamentale; ci insegnano che la libertà di stampa è importante non soltanto perché espressione dell’opinione degli individui, dei loro pensieri, della loro interiorità, non soltanto perché permette di tenere sotto controllo l’operato di chi ci governa, ma anche e soprattutto perché permette quelle comunicazioni sociali che sono all’origine del progresso. Insomma, non bisogna dimenticare che la libertà di stampa permette a ciascuno di noi di progredire e di perfezionarsi.
Vale allora la pena di rileggere questo passo scritto dal più grande liberale francese di inizio Ottocento, Benjamin Constant:

«Al giorno d’oggi, restringere la libertà di stampa significa ridurre la libertà intellettuale della specie umana. La stampa è uno strumento di cui essa non può più fare a meno. La natura e l’estensione delle nostre società moderne, nonché l’abolizione di tutte le forme popolari e tumultuose, rendono la stampa il solo mezzo di pubblicità, il solo modo che le nazioni e gli individui hanno per comunicare tra di loro. La questione della libertà di stampa coincide dunque con la questione generale dello sviluppo dello spirito umano. È sotto questo punto di vista che va inquadrata».
(B. Constant, Principi di politica. Versione del 1806, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2007, p. 144).

Nel 1814 i liberali persero la loro battaglia: la legge di censura fu approvata il 21 ottobre. Personaggi come Constant, tuttavia, continuarono a combattere negli anni successivi, con costanza e determinazione, finché non videro trionfare l’ideale in cui credevano profondamente. Quanto a noi, l’esito delle nostre battaglie potrà forse dipendere anche dalla nostra capacità di guardarci indietro e di imparare da coloro che ne combatterono di simili prima di noi.

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