Moravia e l’impossibilità di vincere sul demonio che abbiamo dentro

La narrazione di Alberto Moravia riesce a creare atmosfere che mi affascinano. Quando, ormai sedici anni fa, lessi per la prima volta Gli Indifferenti, suo capolavoro assoluto, fu amore a prima vista. Mi colpì subito quella sua incredibile capacità di indagare l’animo umano, di tratteggiare con efficacia dubbi, ossessioni e debolezze dell’individuo, di descriverli minuziosamente, illuminando, con la sua prosa essenziale, anche gli angoli più reconditi dell’interiorità dell’uomo. Negli anni, leggendo molti dei suoi romanzi, non rimasi mai deluso. La sua narrazione è secca, precisa e asciutta, ma è in grado di descrivere attentamente e con chiarezza sentimenti e situazioni emotivamente complesse, all’interno di una visione pessimista della natura umana. Moravia è capace di mettere in scena personaggi davvero reali, di evocare atmosfere spesso opprimenti, ma allo stesso tempo di far riflettere il lettore senza dare risposte ultimative a questioni che di per sé una soluzione non hanno.

In romanzi come Gli Indifferenti, Le ambizioni sbagliate e La noia il mondo descritto è statico, quasi immobile; i protagonisti hanno poche possibilità di dare una svolta alla propria vita. Proprio perché inseriti in un mondo immorale, dominato dal sesso e dal denaro, non hanno modo di uscire da quella rete di rapporti interpersonali, di finzione e di appiattimento sociale che causa loro disagio, insoddisfazione e noia.
Recentemente, leggendo La cosa e altri racconti ho invece scoperto un Moravia in parte diverso.

Questi racconti possiedono la stessa intensità narrativa, le stesse atmosfere opprimenti, la stessa inquietudine e la stessa critica sociale, ma il tutto è arricchito da qualcosa di nuovo: una speranza di salvezza, che si esplica a volte in una componente mitica o favolistica che lascia presupporre un qualche sviluppo futuro, una resa dei conti finale. Al centro di ogni racconto c’è quasi sempre un unico personaggio che, immerso nella sua solitudine, è costretto a combattere con sé stesso, con le proprie paure e la propria incapacità di sentirsi felice e appagato. Certo, non mancano le interazioni con altri personaggi, ma quasi sempre il vero confronto il protagonista ce l’ha con sé stesso.
Così, nel racconto che più mi ha colpito Il diavolo non può salvare il mondo, in cui Moravia riprende a suo modo il tema classico dell’uomo che per arrivare al successo vende la propria anima al diavolo, il protagonista è lo scienziato Gualtieri, benché l’io narrante sia il diavolo stesso. L’entità malefica che tenta in tutti i modi di sedurre Gualtieri, assumendo varie sembianze, rappresenta in realtà il lato oscuro dello stesso scienziato. Un uomo straordinario per intelligenza, dai modi dolci e seducenti, ma con una grande debolezza: l’attrazione per le bambine. Non a caso soltanto quando il diavolo si presenta nei panni di una dodicenne, unico “travestimento” con cui è in grado di attrarre Gualtieri, il professore firma il contratto che gli permetterà di divenire nel giro di trent’anni uno dei più grandi scienziati del mondo. Ma solo in cambio della perdita della propria anima e della fine del mondo intero, causata dalle sue scoperte scientifiche nell’ambito della fisica nucleare.

La piena convinzione della scelta di stringere il patto e il travaglio interiore del protagonista nel resistere alle tentazioni del diavolo (che lo induce quasi a consumare un incesto con la propria figlia) simboleggiano la lotta dell’uomo con i propri impulsi più riprovevoli, ma anche con la propria sfrenata ambizione, superiore allo stesso desiderio sessuale. Come detto, però, in questo come negli altri racconti, c’è spazio per una speranza di salvezza: il demonio materializzatosi sotto forma di giovane studentessa con il sesso da bambina, si innamora di Gualtieri e pur di far l’amore con lui è disposto a rimettergli il debito e a salvare lui e il mondo dalla dannazione. Ma questo è impossibile: il diavolo può far tutto, ma non il bene e non può salvare il mondo. L’irreversibilità della scelta, l’impossibilità di resistere agli impulsi primordiali così come l’impotenza dell’uomo nell’arrestare il progresso della scienza, che porta inevitabilmente alla distruzione, vengono rappresentati dalla scena finale in cui il diavolo proprio nel momento dell’amplesso si dissolve, pezzo per pezzo, divenendo fumo. E così, ancora una volta, il protagonista delle storie di Moravia rimane sconfitto: questa volta non dal mondo che lo circonda, ma da sé stesso.

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