19 luglio 1992

Giornata di luglio. Canicolare. Ma l’acqua del fiume è gelida, mi anestetizza le caviglie. Scivolo sulle pietre viscose e cado con un tonfo tra risate e sberleffi. È questa la felicità? Correre, schizzare, saltare? Mia madre mi dice di uscire dal fiume, mi riparo dal sole, sotto gli alberi frondosi. No, non gioco più. Sono spossato, il pomeriggio muore sulle mie ginocchia livide. Mi specchio nell’acqua trasparente. Sono niente, sono nessuno, sono solo un bambino. Cosa sarò da grande? Cosa farò? Mi sdraio sui sassi, tra i rami guardo lo spicchio di cielo che mi è concesso e penso alle mie debolezze e alle mie mancanze. La mia vista è rossastra, la pelle incandescente, le nuvole accecanti. Una goccia di sudore solca il mio viso. Distolgo lo sguardo e non vedo più nulla. Cosa farò? Chi sarò? Ho paura di fallire. Sono solo un bambino, ma chi deluderò? Sono stanco. Voglio tornare a casa.
L’auto è cocente, le curve mi disturbano, mio padre le accompagna, adagio la testa sul sedile, mi addormento. E sogno. Sento stringere alle caviglie, ho paura, il fruscio degli alberi e le sue radici come tentacoli, il vento sulla faccia e la vista annebbiata. Poi cado nella palude e sprofondo. Lacrimo e mi sveglio madido di sudore.
Finalmente arrivati. Sdraiarmi e godermi la frescura della taverna, ecco cosa voglio ora. Sono esausto. I miei arti sono molli, accendo la tv. Non lo faccio mai, ma stavolta l’accendo, la odio, ma l’accendo, voglio che mi si spenga la mente.
Ma intuisco l’odore di polvere, sfioro la lamiera incandescente. Sullo sfondo una nube di fumo nero. Una donna piange, ma non ha occhi, si preme un viso invisibile sui seni. Cosa succede? La voce di mia madre, gli sguardi di mio padre, cosa diavolo succede?
Non vedo nulla, sento solo piangere. La schiena mi fa male. Il rosso è il colore della tragedia, è il sangue che scioglie le palpebre degli esseri umani. Ora percepisco le urla, lo hanno ucciso. Lo avevano detto e l’hanno fatto. È la stanchezza che mi stringe alla gola. No, è la strada che esala una nube plumbea, le divise blu e i volti spettrali. Lo hanno ucciso. E i palazzi grigi e le auto e le lacrime.
Siamo finiti. Cosa farò? Non sono niente, non siamo niente. Non dobbiamo essere niente in questo Paese. Ci hanno costruito addosso questo odore di fumo, di sangue e di sconfitta. Non abbiamo speranza. Siamo morti oggi. Piango.

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