
La mattina di domenica 19 marzo 1815, all’uscita dalla messa, il lettore medio del Journal des Débats, all’epoca il quotidiano più importante di Francia, sulla prima pagina della sua copia acquistata per pochi centesimi, trovò un articolo dai toni perentori che recitava più o meno così: Francesi, stringetevi attorno al vostro re legittimo, Luigi XVIII! Opponetevi all’usurpatore che è tornato dall’Isola d’Elba per riprendere il trono di Francia! Non cedete a Napoleone: è Attila, è Gengis-Khan, ma ancora più terribile e odioso!
L’autore dell’articolo non era un vecchio nobile d’Antico Regime, ma Benjamin Constant, il grande teorico del liberalismo francese del primo Ottocento, che fin dall’aprile precedente aveva appoggiato il regime politico di Luigi XVIII e che ora, di fronte all’avanzata dell’Imperatore verso Parigi, si scagliava violentemente contro di lui. Povero Benjamin, ignorava che quell’articolo di due colonne stava per cambiare non solo la sua vita, ma anche l’immagine che i posteri avrebbero avuto di lui per più di un secolo.
Quello stesso 19 marzo, in tarda serata, Luigi XVIII e tutto il suo entourage fuggirono in fretta e furia da Parigi, lasciando campo libero a Napoleone, mentre Constant, che sul re Borbone aveva scommesso davvero perché convinto del suo progetto liberale, si pentiva di quanto scritto poche ore prima. Nei giorni seguenti, provò a fuggire e, temendo la vendetta di Bonaparte, meditò addirittura di trasferirsi negli Stati Uniti; ma poi tornò a Parigi, dove, si diceva, tirava un’aria nuova. Napoleone non sembrava più lo stesso: era cambiato, assicuravano i suoi sodali, non voleva più fare il despota, voleva dare un assetto liberale alla Francia, garantire le libertà fondamentali e i diritti politici, ma aveva bisogno dell’aiuto di chi di libertà se ne intendeva, aveva bisogno di Constant.
Tre settimane dopo Benjamin venne invitato a scrivere la nuova costituzione per la Francia. Lui che durante i dodici anni d’Impero era stato il più acerrimo nemico di Napoleone e per questo era stato costretto all’esilio, veniva ora chiamato a ricoprire un ruolo politico davvero importante e poteva finalmente contribuire attivamente a cambiare in meglio quel Paese che sentiva profondamente suo. Lui che era svizzero di nascita, ma che si sentiva francese in tutto e per tutto e non solo perché la sua famiglia, ugonotta, era fuggita dalla Francia all’epoca della revoca dell’editto di Nantes.
Che fare allora? Impegnarsi attivamente nel dare un assetto liberale alla Francia? Accettare o no la proposta del grande nemico? Possiamo immaginare il suo conflitto interiore.
Nonostante i mille dubbi, Constant alla fine accettò, scrisse la nuova costituzione e Napoleone lo ricompensò nominandolo al Consiglio di Stato. Ma gli antibonapartisti non glielo perdonarono: il 30 aprile per le strade di Parigi fu diffuso in numerose copie un foglio volante che sotto l’emblematico titolo Le Transfuge Benjamin Constant, au peuple français riproduceva l’articolo del 19 marzo accompagnato da un breve commento: come credere che lo stesso uomo che un mese fa paragonava Napoleone ad Attila e Gengis-Khan ora mendica proprio da lui un posto al Consiglio di Stato?
Per Constant fu un duro colpo: provò a difendersi sulla stampa e giustificò la propria condotta pubblicando i suoi Principi di politica, ma da quel momento non si sarebbe più liberato dall’accusa di essere un voltagabbana, un incoerente, un opportunista e non di rado sarebbe stato chiamato, con un sottile gioco di parole, «l’inconstant Constant».
Ma incoerente Constant non lo fu mai, tutt’altro. Ambizioso sì, ma non incoerente. La sua intera esistenza fu guidata da un unico, grande ideale: la libertà. Un principio che cercò di affermare indipendentemente da tutto e senza badare troppo al regime politico, repubblicano o monarchico, o alla testa su cui poggiava la Corona, perché in fondo, ciò che importava davvero era difendere l’individuo dai soprusi del potere, chiunque ne fosse il legittimo detentore. Certo, non gli mancarono mai la volontà di giocare un ruolo politico attivo, il desiderio di essere accettato da una società francese che lo vedeva come uno straniero e, naturalmente, una buona dose di ingenuità nel muoversi su un agone politico che mutava continuamente.
Ma, al di là delle personali convinzioni politiche, come disprezzare un uomo capace di fare scelte controverse e di mettere in gioco tutto sé stesso pur di far trionfare idee e principi in cui credeva profondamente? Non dovrebbe essere soprattutto questo il senso di fare politica?
Bellissimo pezzo, scritto con passione . Vorrei fare tante osservazioni , ma mi limito a una sola considerazione, cercando di dare una risposta alla su domanda conclusiva se il senso della Politica non sia poi, in ultima istanza quello di ” fare scelte controverse e di mettere in gioco tutto sé stesso pur di far trionfare idee e principi in cui si crede profondamente ”
Credo di sì. Credo che in questo consista il senso della Politica . Da Weber, sappiamo che la vocazione in politica è nient’altro che, dedizione appassionata ad una causa , possedere una coscienza del tragico che caratterizza la vita e l’esistenza politica , sapersi muovere dentro le situazioni complesse e controverse allo scopo di apportare un miglioramento dell’esistente. E spesso ciò è possibile con costi altissimi che possono esser pagati in prima persona.
Adesso , forse mi è più chiaro anche il senso di quel titolo così evocativo :”la solitudine della libertà”. Dedicare la vita per la Libertà , perseguire lo scopo della libertà civile ( la Libertà che si conquista attraverso la Legge) Per Constant è stato un cammino irto di ostacoli rappresentati anche da dure critiche, opposizioni , perdita di consensi, amici . In poche parole, un cammino solitario . Spero di non essermi spinta troppo oltre, interpretando in modo errato . Con stima.
Gentile Adele, grazie dei bei commenti. Sì, il significato del titolo del libro è proprio quello. Basti pensare che anche amici storici come Madame de Staël, durante i Cento Giorni, gli voltano le spalle. Aggiungerei che anche il modo stesso di intendere la libertà da parte di Constant, in quel preciso contesto storico, si differenzia da quello degli altri liberali. Per questa ragione la sua parabola politica mi è sembrata ancora più solitaria.