Avrei dovuto scrivere questo post più o meno un anno fa. Ora, a distanza di dodici mesi, in questa quieta Torino di fine agosto, in un’estate non troppo calda come quella dell’anno scorso a Parigi, i ricordi mi tornano in mente nitidi.

Ogni sera, dopo un’intensa giornata trascorsa alla Bibliothéque nationale de France, me ne torno a Belleville, dove ho affittato un minuscolo bilocale in una stradina larga non più di un metro e mezzo chiamata Passage du Plateau, a due passi dal parco Buttes Chaumont. Quando la imbocco, intorno alle venti, un uomo di mezza età, un russo con i capelli spettinati e una tuta blu da lavoro, si gode una lattina di birra sull’uscio del suo polveroso laboratorio di falegnameria. Gli passo accanto; lui mi saluta e mi chiede come me la passo. Tutte le sere.
Il mio appartamento, al primo piano, è molto piccolo: 20 metri quadri, forse 25, tra camera da letto, cucinotto e bagno, ma non posso certo lamentarmi (nei precedenti soggiorni parigini ho vissuto in posti ben peggiori e forse gli otto giorni trascorsi in una mansarda di 11 metri quadri nei pressi del canal Saint Martin meriterebbero un racconto a parte): è spartano, ma decoroso, molto pulito e generalmente silenzioso. Una fotografia in bianco e nero della Tour Eiffel campeggia sulla parete bianca sopra il letto a una piazza e mezza che risulta forse un po’ troppo grande per quella stanza. Due finestre rendono l’appartamento abbastanza luminoso, anche perché sul lato opposto del vicolo il palazzo di fronte si interrompe per lasciare spazio a un giardinetto condominiale e così la luce riesce a filtrare tra un paio di grossi tigli. Mi affaccio alla finestra e guardo in basso, su un cortiletto minuscolo dove due bambini francesi di chiare origini magrebine si divertono a cantare filastrocche a me incomprensibili; si accorgono di me e mi salutano con la mano, mentre un gradevole odore di pietanze speziate giunge dal piano terra fino alla mia finestra. Poco dopo, la madre li richiama in casa per cenare e allora nel vicolo si sentono soltanto i tintinnii delle stoviglie, le voci ovattate di una tv che trasmette cartoni animati e il fruscio del vento fra gli alberi di fronte. Alcune sere l’aria viene invasa dalle note di un contrabbasso, di un sax soprano e di una batteria che improvvisano su alcuni famosi standard jazz. Non ho mai capito da dove provengano. Vanno avanti un paio d’ore, fino all’imbrunire, prima che il vicolo, di colpo, ripiombi in un silenzio quasi irreale.

Non conosco bene Belleville e non ho mai letto la saga di Malaussène di Pennac. Il mio amore per questo quartiere, per le sue vie, per la sua atmosfera, per la sua diversità rispetto alle altre zone di Parigi sboccia gradualmente, nel corso dell’estate. Nei giorni in cui non vado in biblioteca ho voglia di camminare: parto dalla fermata Jourdain, non lontana dal mio appartamento, e percorro tutta rue de Belleville in discesa, giù fino all’incrocio con boulevard de Belleville. Poco dopo la fermata Pyrénées, prima che la strada curvi nascondendomi l’orizzonte, mi appare la Tour Eiffel: ogni volta la sua vista quasi mi sorprende, sembra così vicina e al tempo stesso così lontana. Mi fermo un momento, attratto da una targa che celebra il luogo di nascita di Edith Piaf, al n. 72 di rue de Belleville, poi mi rimetto in cammino. Qui le persone parlano ad alta voce, i commercianti spargono sul marciapiede scarpe spaiate insieme a radioline degli anni Ottanta e lo street-food magrebino, mediorientale e vietnamita viene esposto all’aria aperta o dietro vetrine non sempre linde. Una prostituta cinese prova ad adescarmi, un tizio mi chiede una sigaretta, un paio di bambini senegalesi mi sorpassano a tutta velocità in monopattino.

Qualche volta faccio una deviazione: imbocco rue Piat e di fronte alle vetrine di un atelier osservo opere di artisti contemporanei che non riesco ad apprezzare. Più avanti, lungo la strada, un gruppo di ragazzi, forse nigeriani, occupano l’intero marciapiede, bevendo birra e fumando. Hanno l’aria di una gang da film americano. Vorrei cambiare lato della strada, ma me ne vergogno, così passo tra loro con qualche timore e, nella loro totale indifferenza, proseguo sentendomi un po’ stupido. Giungo a un ampio piazzale e allora con gli occhi posso abbracciare tutta Parigi. Me ne sto per un po’ appoggiato al corrimano del belvedere che sovrasta il Parc de Belleville e mi diverto a distinguere la tour de Montparnasse, le guglie di Notre Dame, Les Invalides. Poi torno su rue de Belleville, tra lavanderie a gettone, eterni girarrosti e negozietti di spezie. All’angolo con rue Julien Lacroix, un grosso murale occupa l’intera facciata esterna di un palazzo: raffigura un uomo con un cappello, probabilmente un detective; è accovacciato, intento ad esaminare un foglio con una croce.

Finalmente giungo all’incrocio con boulevard de Belleville, nei pressi dell’omonima stazione del metro, e mi si para davanti “Le Président”, un grosso ristorante cinese, con un’enorme insegna di rossi logogrammi. Mi giunge all’orecchio il tema di “Spiderman”: a pochi metri da lì, un gruppo di giovani musicisti reinterpreta classici pop e famose sigle televisive con i propri strumenti a fiato; tra tromboni, trombe, bassi tuba e corni sono almeno una decina e attraggono una folla di curiosi ascoltatori. Io mi fermo a mangiare qualcosa. C’è un localino minuscolo dove servono un’eccellente zuppa di noodles con anatra, ma oggi ho voglia di cucina tunisina. Scelgo un ristorante a caso e ordino una kamounia.
Dopo pranzo riprendo a scalare il colle di Belleville percorrendo rue de Menilmontant. Poco più in là, in rue des Pyrénées, c’è una libreria che mi piace. Ci vado quasi ogni settimana: il proprietario è gentile e come sempre mi chiede se cerco qualcosa in particolare. Mi faccio indicare il reparto “Histoire du XIX siècle”, anche se so già dov’è, e trascorro lì un po’ di tempo sfogliando decine di volumi che vorrei possedere tutti. Finisco per acquistare l’ennesima Histoire de la Restauration.

Esco e mi viene voglia di raggiungere Buttes Chaumont, il mio parco parigino preferito. È ricavato da una ex cava di zolfo e costituito da un’infinità di sali e scendi, prati scoscesi, piccole grotte, laghetti e cascate. Nel suo punto più alto, a cui arrivo attraverso un ponte sospeso che ondeggia ad ogni mio passo, sorge un tempietto intitolato a Sibilla; da lassù Montmartre e il Sacré Coeur sono bellissimi. Buttes Chaumont, con le sue cancellate che lo separano dal resto della città e le sue piante che cancellano alla vista i palazzi attorno, è un luogo totalmente a sé: qui il tempo sembra fermarsi, il rumore di auto e il vociare delle persone non esistono più, tutti sono calmi e rilassati. E allora mi adeguo anche io: mi sdraio su un prato e chiudo gli occhi.
Ho respirato il profumo delle pietanze che cucinavano nell’appartamento sotto casa tua, ho sentito il vociare multietnico in rue de Belleville, ho sentito la band improvvisata per strada suonare sigle della tv… tutto questo leggendo il tuo racconto, così vivo e reale! Grazie per questo scorcio di Parigi!
Grazie mille, Giorgia! Mi fa piacere che ti sia piaciuto… Ps: mi ero perso il tuo fashion blog!
Si può definire il fascino di Parigi? O almeno indicare qualche elemento della miscela fatale? Non vorrei sottrarre tempo al tuo lavoro. Però la domanda che sorge in me alla lettura del post è questa.
Caro Professore, è una domanda non semplice in effetti. Credo che il termine”miscela” colga davvero nel segno… Nel mio caso sono affascinato da due Parigi diverse: una più storica, quella dei quartieri in cui si respira l’eco degli eventi rivoluzionari e delle ambientazioni di Balzac e Zola; l’altra è la Parigi della diversità (e spesso della povertà), dei quartieri dove individui diversissimi tra loro vivono a stretto contatto tra loro (non solo Belleville, ma anche La Chapelle e Barbès-Rochechouard, Boulevard de Clichy, Montreuil…). Ma sono solo due delle numerosissime sfaccettature. Può sembrare banale, ma forse il fascino di città come Parigi risiede proprio nel fatto che ciascuno può trovarci ciò che più gli aggrada.
Che dire? ottimo spunto che con il finale aperto sblocca e chiude. Adesso diventa più chiaro il discorso sottotraccia presente nel post. Complimenti.