Nel 2013 in Italia e nel mondo si stanno svolgendo numerose iniziative per celebrare il Cinquecentenario della prima stesura del Principe di Niccolò Machiavelli (ho parlato qui della famosa lettera al Vettori in cui afferma di aver composto l’opera). Si tratta di un evento importante perché pochi altri autori hanno goduto e godono ancora di una fortuna simile a quella del grande Fiorentino nella storia del pensiero politico-filosofico e in generale della cultura occidentale.
La Fondazione “Luigi Firpo” di Torino è certamente tra le istituzioni più attive nelle celebrazioni machiavelliane, perché al grande pensatore politico e all’influenza del suo pensiero nei secoli sta dedicando, da marzo e fino a dicembre, un lungo ciclo di conferenze, le “Lezioni Machiavelli 2013” .
L’ultima in ordine di tempo è stata tenuta da Gennaro Maria Barbuto, studioso del pensiero politico moderno e contemporaneo. L’argomento, “Machiavelli e il Novecento” è certamente affascinante, anche perché, secondo Barbuto, quello appena passato è il secolo di Machiavelli per eccellenza. Non a caso, gli usi della figura e del pensiero del Fiorentino, quasi sempre strumentali e privi di qualsiasi collegamento con il Machiavelli storico, appaiono maggiormente presenti nelle fasi più critiche, nei momenti di crisi e di svolta della storia. Basti pensare alla Francia delle guerre di religione di fine Cinquecento, o alle grandi rivoluzioni dell’età contemporanea, quando Machiavelli venne utilizzato da opposte fazioni per lanciare precisi messaggi e giustificare pratiche politiche tra le più disparate. Non deve dunque sorprendere che i tre grandi regimi totalitari del secolo scorso – fascismo, nazismo e stalinismo – abbiano in qualche modo fatto uso di Machiavelli per perseguire determinati obiettivi o per giustificare il proprio potere. E tale influenza riguardò non soltanto gli intellettuali o i gerarchi di regime (qualche esempio: Giuseppe Bottai e Galeazzo Ciano per il fascismo, Carl Schmitt per il nazismo, Lev Kamenev per lo stalinismo), ma anche in prima persona i capi carismatici: Mussolini, Hitler, Stalin.
Certo, l’immagine dello spietato dittatore che tiene sul comodino il Principe di Machiavelli potrebbe apparire un abusato luogo comune, ma forse lo è meno di quanto si possa pensare. Se non abbiamo la certezza che Napoleone leggesse abitualmente il Principe (e infatti il Machiavel commenté par Napoléon Buonaparte non è altro che un falso dell’abate Aimé Guillon), prove più evidenti abbiamo invece nei casi novecenteschi.
Alla fine d’aprile del 1924 Mussolini, già quarantenne e appena divenuto Presidente del Consiglio, pubblicò sulla rivista “Gerarchia” un Preludio al Principe. Era in realtà una prolusione che nei mesi precedenti avrebbe voluto pronunciare in occasione della cerimonia, poi saltata per i continui rinvii, con cui l’Università di Bologna intendeva conferirgli una laurea honoris causa. L’ammirazione di Mussolini per il Fiorentino fu autentica, al punto che avrebbe voluto addirittura dedicargli un’opera più corposa. Machiavelli è per lui anzitutto emblema d’italianità. Nella costruzione dell’ideologia, il fascismo considera sé stesso come l’adempimento della storia italiana e la realizzazione delle migliori tradizioni culturali e politiche della Penisola: Machiavelli è il simbolo di tutto questo. Inoltre Mussolini lo considera come il primo in grado di demolire i “miti” di democrazia e libertà, perché ha capito che la politica deve essere fatta attraverso un’analisi disincantata della realtà e condotta in prima persona da un capo carismatico (nel senso utilizzato da Gustave Le Bon nella sua opera Psychologie des foules) in grado di guidare le masse, facendo uso non del consenso, ma della forza. Insomma, poche settimane prima del delitto Matteotti, Mussolini già preannunciava attraverso Machiavelli quanto sarebbe avvenuto di lì a poco. E il Principe cominciò, da quel momento in poi, ad affascinare molti intellettuali fascisti, trovando un posto d’onore anche nella manualistica scolastica.
Altrettanto confermata appare l’influenza di Machiavelli su Hitler. Nei Colloqui con Hitler Hermann Rauschning, inizialmente stretto collaboratore del Führer e in seguito suo oppositore costretto a riparare in Inghilterra e negli Stati Uniti, presenta Hitler come discepolo di Machiavelli, al tal punto suo ammiratore da tenere sul suo comodino il Principe, opera purificatrice dalle false credenze e dai pregiudizi politici e grazie alla quale è possibile imporre il proprio dominio evitando qualsiasi vincolo di carattere morale. A conferma di ciò, pare che un documento del 1945 del corpo di controspionaggio dell’esercito americano attesti l’esistenza di una piccola biblioteca di Hitler, in cui accanto alle opere di teoria delle razze, di fotografia, di arte fossero presenti tre soli libri della tradizione filosofica occidentale: le due Critiche di Kant e il Principe di Machiavelli.
Sulla base di alcune testimonianze orali, poi, sembra che Mussolini, quando incontrò Hitler a Venezia nel giugno del 1934, gli consigliò di sbarazzarsi dei suoi collaboratori più pericolosi e a lui più vicini, seguendo l’esempio descritto da Machiavelli. Un paio di settimane dopo i vertici delle SA furono epurati e il comandante Ernst Röhm arrestato e assassinato.
Anche Stalin fu attento lettore di Machiavelli. Nella sua ricchissima biblioteca, rimasta a lungo incustodita dopo il crollo dell’Unione Sovietica e dunque depredata di gran parte dei volumi poi rivenduti al mercato nero, fra le poche migliaia di libri rimasti è stata rinvenuta una copia del Principe da lui scrupolosamente sottolineata e annotata. Insegnamenti, quelli machiavelliani, non certo caduti nel vuoto. Come non ricordare, infatti, la grande purga del 1936? Fra le accuse mosse dal procuratore generale Vyshinskij a Kamenev, che un paio d’anni prima aveva curato il primo volume delle opere di Machiavelli, ci fu anche quella di aver applicato le leggi del Fiorentino e di aver assunto nei confronti del partito comportamenti privi di qualsiasi considerazione morale.
Insomma, la leggenda nera che fin dal Cinquecento ha caratterizzato la “fortuna” della figura e del pensiero di Machiavelli, sembra raggiungere il suo apice nel Novecento. A dimostrazione di come certe opere penetrino a tal punto nella cultura – non di un unico Paese, ma mondiale – che studiandone le letture e gli usi è possibile avere un’originale chiave di lettura per conoscere e interpretare un’intera epoca.
Bibliografia minima:
A.E. Baldini, Machiavellismo e machiavellismi: progetto di ricerca e messa a punto di un concetto, in Anglo-american faces of Machiavelli. Machiavelli e machiavellismi nella cultura politica anglo-americana (secoli XVI-XX), a cura di A. Arienzo e G. Borrelli, Monza, Polimetrica, 2009, pp. 23-48.
G.M. Barbuto, Machiavelli e i totalitarismi, Guida, Napoli 2005.
P. Carta, Machiavelli in Russia, in Machiavelli nel XIX e XX secolo/Machiavel aux XIXe et XXe siècles, a cura di P. Carta e X. Tabet, Cedam, Padova 2007.
Il Principe rimane un capolavoro, un testo animato da un pragmatismo ante litteram di straordinario acume ed incommensurabile lucidità analitica. Questo tuo contributo ci ricorda quanto fu deleterio non il pensiero machiavelliano, bensì quello machiavellico: il paradigma riduzionistico riassumibile nel celeberrimo “Il fine giustifica i mezzi”…occorre dunque lanciare una preghiera ai politici e a chiunque s’appresti a strumentalizzare il pensiero di Machiavelli: leggetevi bene,sottolineo bene, il capitolo XVIII (quello su la golpe e il lione) e non distorcetelo sotto la lente (biecamente) utilitaristica…
Grazie per il post molto interessante, lo condividerò anche su twitter.
Ennesimo Blogghista
Proprio per questo ho parlato di usi strumentali. Sono letture che non hanno nulla a che vedere con quanto sostenuto da Machiavelli. Basti pensare che la frase che hai citato e che gli viene continuamente attribuita “il fine giustifica i mezzi” non è mai stata da lui scritta. Come hai ben detto, il machiavellismo è qualcosa di ben distinto da Machiavelli! Grazie mille del commento!