Un pensiero su Remo Bodei: il ritorno dell’epoca della “colonizzazione delle coscienze”?

Destini personaliIn questi ultimi anni, ho sempre pensato che il momento storico che stiamo vivendo, più che all’età dei fascismi (come pensano molti studiosi e giornalisti), sia paragonabile in un certo senso agli ultimi decenni dell’Ottocento e ai primissimi anni del Novecento, caratterizzati dall’ingresso delle masse in politica e da una rivoluzione nel campo della comunicazione innescata dall’invenzione della radio prima e del cinema poi.
La scomparsa, pochi giorni fa, di Remo Bodei mi ha fatto riprendere in mano alcuni suoi lavori che in qualche modo mi hanno influenzato in questo senso. Una buona parte della sua riflessione è dedicata al binomio razionalità-passioni e al rapporto che intercorre tra loro, in un continuo confronto/scontro tra dimensione individuale e collettiva. Nel suo “Geometria delle passioni. Paura, speranza, felicità: filosofia e uso politico” (1991), senza dubbio fra i suoi lavori di maggior successo, ripercorrendo tra le altre cose i pensieri di Hobbes, Spinoza e dei leader giacobini, definisce la paura come una passione “d’attesa” (al pari della speranza e del desiderio), poiché genera nell’individuo un particolare bisogno di sicurezza il cui soddisfacimento è sempre spostato nel futuro. Se in Hobbes dalla paura scaturisce una maggiore consapevolezza politica e una maggiore razionalità, in Spinoza la paura, intesa sia come passione esperita dal popolo, sia come paura che i governanti provano nei confronti delle masse popolari, da una parte è fonte di ansia perenne e dunque motivo di possibile rivolta, dall’altra produce in chi governa una condotta politica confusa e in continua rotta di collisione con il volere della maggioranza degli individui. Per il giacobinismo, la paura è invece strumento “purificatore” utile a realizzare il progetto di rigenerazione dell’umanità: organizzata in maniera scientifica e burocratizzata, è una passione da utilizzare politicamente – e proprio nel saperlo fare risiede la virtù dell’uomo politico – non solo per controllare le masse, ma anche tutti coloro che ricoprono una carica pubblica.
Ma il lavoro di Bodei a cui sono più legato è certamente “Destini personali: l’età della colonizzazione delle coscienze” (2002). È in questo libro che Bodei, sempre indagando il rapporto tra razionalità, passioni e politica, affronta in particolare quel processo di “colonizzazione delle coscienze” avvenuto nel periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento, durante il quale vengono poste le premesse storico-filosofiche che avrebbero portato ai totalitarismi novecenteschi. Sottoposto sul piano filosofico e della riflessione politica a una serie di attacchi, “involontari” (le idee dei “maestri del sospetto”, Marx, Nietzsche e Freud) o volontari (la psicologia delle folle di Le Bon, il sindacalismo rivoluzionario di Sorel, la teoria dello Stato etico di Gentile), l’io (la coscienza), secondo Bodei, tra Ottocento e Novecento viene “dapprima, smembrato nelle sue componenti ed esibito nel suo sfinimento, poi consegnato alla politica per una pubblica terapia d’urgenza”. Tale smembramento apre la strada all’idea che l’individuo sia incapace di autogovernarsi e che dunque spetti alla politica, attraverso la gerarchia o attraverso una “tragica caricatura dell’eguaglianza”, costruire un uomo nuovo. L’individuo viene risucchiato nell’“anima delle folle” per essere posto sotto la tutela del “meneur des foules” del “capo che agisce per sua stessa ammissione, alla stregua di un ipnotizzatore di masse inerti e manovrabili”.
I parallelismi tra quel periodo e quello che stiamo vivendo mi paiono ogni giorno più evidenti: un nuovo ingresso delle masse in politica, attraverso una nuova rivoluzione nell’ambito della comunicazione, ha di fatto aperto la strada ai nuovi “ipnotizzatori” populisti. La differenza, forse, sta nel fatto che l’io non si è semplicemente smembrato, ma sembra quasi essersi disintegrato, sembra esploso a causa della propria ipertrofia…

1 Comments

Lascia un commento